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Le birre che vengono dai fondali marini

Le birre che vengono dal passato: recuperate sui fondali marini decine di bottiglie risalenti al 1700 e al 1800.

Molto probabilmente nessun appassionato di birra, neppure quello con la più fervida immaginazione, ha mai pensato di poter degustare prodotti brassicoli provenienti dai fondali marini. Questo invece è possibile grazie a scoperte e progetti rivoluzionari: oggi esistono infatti due birre che hanno come casa proprio il mare. Ritrovamenti che, tramite lo studio dei luppoli e dei malti utilizzati nei secoli scorsi, potrebbero contribuire ad un nuovo ed importante sviluppo dell’arte birraria.

La prima di queste birre è stata rinvenuta lo scorso anno all’interno della stiva di una nave affondata nel Mar Baltico nel 1800 che viaggiava da Copenaghen in direzione di San Pietroburgo. Dopo la scoperta, in Finlandia sono stati analizzati sia il gusto che gli ingredienti della birra al fine di riproporla a distanza di secoli. Gli scienziati hanno studiato con grande cura i lieviti e i batteri presenti nelle bottiglie per trovarne i corrispondenti impiegati oggi. Passaggio fondamentale per riprodurla tramite le moderne tecniche di produzione.

I mastri birrai che hanno affiancato l’equipe di ricercatori, hanno sottolineato come la birra realizzata, pur non avendo caratteristiche perfettamente identiche a quella rinvenuta sul fondale, specie per evidenti motivi legati all’invecchiamento della bevanda in condizioni del tutto inusuali, si avvicina in modo sorprendente a quella originale, prodotta più di 200 anni fa.

Il risultato è una birra leggermente dolce per quelli che sono gli standard attuali ed ha un contenuto alcolico del 4,7%. Attualmente ne sono stati prodotti circa 1.500 litri che sono conservati in bottiglie fatte a mano come quelle ritrovate sul fondo del mare.

birre ritrovate sul fondale marino

Molto simile è la storia di un’altra birra rinvenuta nel relitto di una nave affondata nei pressi della Tasmania, l’isola più grande dell’Australia. Il racconto inizia nel 1797 quando il Sydney Cove, un mercantile partito dall’India e diretto alla colonia britannica di Port Jackson (nome originario del porto di Sydney datogli dal celebre esploratore James Cook) naufraga.

Nella stiva del relitto e sul fondale, i sommozzatori hanno trovato resti di tè, riso, tabacco e circa 30mila litri di varie tipologie di alcolici. Oltre a barili contenenti vino e distillati, sono state recuperate numerose bottiglie di birra ancora perfettamente sigillate. Alcune di queste sono state donate al museo Queen Victoria di Launceston (Tasmania), altre invece sono state sottoposte ad accurate ricerche scientifiche con l’obiettivo di analizzarne il contenuto e provare a riprodurlo il più fedelmente possibile.

Grazie al lavoro svolto dall’Istituto australiano di ricerca sul vino, l’Awri di Adelaide, sono state identificate e recuperate tre tipologie di lievito, di cui una molto antica, e due più simili a quelle impiegate ancora oggi. Il museo Queen Victoria e l’Awri si sono quindi rivolti al birrificio Malt Shovel di Sydney per riportare in vita questa bevanda prodotta nel 1700.

Il risultato finale è una birra di colore scuro che mette in risalto gli aromi del malto e presenta profumi di ribes nero e spezie. Con una gradazione alcolica del 7%, è stata realizzata secondo lo stile delle porter britanniche, ovvero quello che rispecchia più fedelmente il prodotto originale. La birra, battezzata con il nome di “The Wreck”, ovvero “Il naufragio”, è stata presentata ufficialmente al pubblico in occasione del Gabs, un importante festival australiano dedicato a birre e sidri.

birra The Wreck

Questi due ritrovamenti rivestiranno, con ogni probabilità, un ruolo di grande importanza per la produzione birraria. I lieviti contenuti nelle stive di queste navi affondate centinaia di anni fa potrebbero infatti diventare la base per nuove tipologie di birre caratterizzate da aromi e profumi davvero innovativi, frutto dell’incontro fra le moderne tecniche di produzione e l’arte dei mastri birrai vissuti negli scorsi secoli.

Redazione ApeTime
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