Chiude i battenti il birrificio americano Spencer: era l’unico trappista al di fuori dell’Europa. Ecco i motivi dietro la decisione.
I monaci della St. Joseph’s Abbey hanno annunciato la cessazione delle attività dello Spencer Brewery, l’unico birrificio fuori dall’Europa riconosciuto come trappista dall’International Trappist Association, che aveva avviato la propria produzione nel 2013.
“Dopo oltre un anno di consultazioni e riflessioni, siamo giunti alla triste conclusione che la produzione di birra non è un’industria redditizia per noi: è giunto il momento di chiudere il birrificio Spencer” recita un post su Facebook pubblicato sulla pagina ufficiale del birrificio.
Nel breve comunicato si legge inoltre: “Vogliamo ringraziare tutti i nostri clienti per il loro sostegno e incoraggiamento nel corso degli anni. La nostra birra sarà disponibile nei punti vendita abituali fino ad esaurimento scorte. Vi preghiamo di ricordarci nelle vostre preghiere”.
I 54 fratelli dell’abbazia, una comunità di monaci cistercensi cattolici che sono arrivati a Spencer per la prima volta nel 1950, hanno il compito di mantenere in vita il monastero: il birrificio era una delle principali fonti di reddito, ma producevano solo la birra sufficiente a sostenere l’abbazia e a finanziare progetti di miglioramento delle strutture.
Dal lancio sul mercato della prima birra, la Trappist Ale, le cose per lo Spencer Brewery erano proseguite in maniera apparentemente positiva, con il lancio di molti prodotti diversi e alcune collaborazioni.
Per questo motivo, l’annuncio è stato accolto con una certa sorpresa nell’ambiente ed induce a fare qualche riflessione sull’effettivo stato di salute del mondo della birra trappista: un settore rimasto uguale a se stesso per decenni, ma che negli ultimi tempi ha mostrato un’evoluzione davvero repentina sotto tutti i punti di vista.
Partendo da quanto scritto su Facebook, sono due i dati che emergono subito: il primo è che le riflessioni su questa scelta sono iniziate più di un anno fa, dunque in piena pandemia. Impossibile quindi non ipotizzare che la scelta dei monaci sia stata anche suggerita dalle pesanti ripercussioni che ha avuto l’emergenza sanitaria su molti settori produttivi, in particolar modo su quelli che sono collegati ai luoghi di socializzazione.
L’altro aspetto molto interessante è la motivazione: il birrificio ha fallito nel suo intento, ovvero quello di rivelarsi un’attività economicamente valida per il sostentamento della comunità monastica. Per ottenere il bollino di Authentic Trappist Product e lo status di birrificio trappista, una condizione imprescindibile è infatti l’assenza di scopo di lucro: tutti gli utili devono essere destinati alle necessità della vita monastica nell’abbazia o al massimo per opere di carità.
Questo vuol dire che, a un certo punto, il birrificio non è più riuscito a giustificare la propria esistenza soltanto nell’ottica della sussistenza dei monaci. Un aspetto che può fare un certo effetto, ma che va considerato anche in rapporto alle dimensioni non indifferenti della sede produttiva: un impianto da circa 60 ettolitri sviluppato su una superficie di oltre 3.000 mq, numeri che hanno sicuramente avuto un impatto importante sulla sostenibilità del birrificio.
Sul sito web www.spencerbrewery.com è infatti possibile verificare l’ampiezza della produzione, ben superiore a quella di quasi tutti i birrifici trappisti del mondo: la gamma si compone di tre birre base (Trappist Ale, Trappist Holiday Ale e Trappist Monk’s Reserve Ale), cinque birre di stampo americano (due IPA, un’Imperial Stout, una Pils e una Vienna) e due birre appartenenti alla serie speciale con frutta (Peache Saison e Grapefruit IPA).
Alla luce di quanto annunciato la scorsa settimana, come era possibile tanto fermento produttivo? Si trattava del riflesso di una situazione molto favorevole per i birrifici trappisti che è mutata, in modo repentino, con l’avvento della pandemia: a questo si univa il tentativo, frenetico e mai riuscito, di fare breccia sul mercato birrario degli Stati Uniti.
Negli ultimi anni, in Europa, sono nati nuovi birrifici trappisti, sono state lanciate birre inedite e annunciate diverse collaborazioni e novità: tutti elementi che forniscono l’idea di un ambiente in evoluzione e in salute. Questi celano però l’aspetto più importante: quello della birra trappista è un microcosmo vulnerabile, basato su equilibri spesso precari e regole ferree.
Tali caratteristiche hanno permesso che questa antica tradizione sia arrivata intatta fino ai nostri giorni, ma di contro espone tutto l’ambiente alle fluttuazioni del mercato e ai cambiamenti sociali. La birra trappista mantiene la propria identità anche per le sue debolezze: la speranza, per gli amanti di questa tipologia brassicola, è che queste non diventino dominanti a causa dei tempi che cambiano.