Quello della birra senza alcol, secondo numerosi addetti ai lavori, è uno dei settori dell’universo dell’antica bevanda destinato a crescere maggiormente nei prossimi anni: lo dimostrano le statistiche, e non solo, dato che un numero in costante aumento di produttori di tutte le dimensioni, ha lanciato sul mercato la propria versione di questa tipologia brassicola.
Per quanto riguarda il palcoscenico internazionale infatti, dopo che per diversi anni ha suscitato l’interesse solo dei big del settore, la bevanda ha iniziato a diffondersi anche nelle produzioni artigianali sia europee che americane: la medesima evoluzione è in atto anche in Italia, seppur ancora lentamente.
Secondo l’ultimo rapporto Eurostat, nel 2023, la produzione complessiva di birra ha raggiunto i 34,3 miliardi di litri, con una marcata crescita del settore di quelle analcoliche e un declino delle birre tradizionali: la prima tipologia della bevanda ha visto un aumento del +13,5%, mentre la seconda ha subito una contrazione del 5%.
Questi dati sono un’ulteriore conferma di come negli ultimi anni la produzione di birra analcolica sia cresciuta in tutta l’Unione Europea, raggiungendo complessivamente la cifra di 1,8 miliardi di litri prodotti nel 2023: ora rappresenta il 5% del mercato UE della bevanda.
Secondo un’altra ricerca pubblicata recentemente dall’ istituto di statistica Global Market Insights, il mercato delle birre analcoliche a livello globale è destinato a crescere molto nei prossimi anni, fino a raggiungere nel 2026 il valore di 29 miliardi con una crescita annua prevista del 7,5%.
Tra i principali motivi che incentiverebbero i consumatori ad un maggiore acquisto di questa tipologia di bevanda ci sarebbero la maggiore disponibilità economica nei Paesi in via di sviluppo e l’aumento della domanda di birre più leggere sia per quanto riguarda il contenuto alcolico che quello calorico: a questo si aggiunge il desiderio di un’alternativa in contesti sociali nei quali si evita l’alcol per motivi strettamente religiosi.
Questa crescita, secondo i ricercatori, sarebbe dovuta inoltre al successo ottenuto in questi anni dai birrifici artigianali che propongono una gamma sempre più ampia di birre alternative a quelle tradizionali, come per esempio quelle aromatizzate o quelle senza glutine, anche in versione zero alcol: in sostanza la ‘craft beer revolution’ della quale abbiamo parlato in diverse occasioni.
L’interesse per le birre analcoliche non è una novità avendo il comparto iniziato a crescere da alcuni anni: nel 2019, per esempio, il valore di questo mercato era di circa 9,5 miliardi, di cui 4 provenienti dall’Europa: i restanti, invece, erano frutto soprattutto del mercato statunitense e di quello indiano.
L’aumento della produzione della bevanda nei Paesi occidentali sembra essere sospinta anche da altre due tendenze: da una parte l’aumento di non bevitori (alcuni studi sostengono che le nuove generazioni consumano meno alcol rispetto alle precedenti) e dall’altra la maggiore diffusione di stili di vita più sani. Si ipotizza inoltre che il consumo di questo prodotto potrebbe arrivare a sostituire, almeno in parte, anche quello delle bevande gassate e zuccherate che risultano spesso più caloriche delle birre analcoliche.
Per queste ragioni, molti birrifici, sia artigianali che industriali, italiani ed europei, si sono già messi all’opera aumentando gli investimenti in termini di marketing e pubblicità e sperimentando processi produttivi e nuove ricette che permettano di ottenere una bevanda, per qualità e gusto, il più possibile simile alla birra tradizionale.
Rispetto alla gradazione alcolica, è importante fare una distinzione: non tutte le birre indicate come analcoliche sono del tutto prive di alcol. In Italia, per esempio, questa definizione si applica a quelle che contengono meno dell’ 1,2% di alcol, mentre quelle del tutto prive riportano l’indicazione 0,0%: ecco il motivo per il quale, per indicare questo settore, in inglese, si usa l’espressione “no and low”, cioè birre senza (no) o con un basso (low) contenuto alcolico.
In alcuni Paesi queste bevande hanno già un certo numero di appassionati (secondo il portale web ‘Business Insider’ in Spagna rappresentano il 14% dell’intero settore e in Svezia una birra su dieci fra quelle vendute è analcolica), in altri invece si stanno ancora facendo strada: al di fuori dall’Unione Europea, per esempio negli Stati Uniti, nonostante le vendite delle birre analcoliche siano aumentate del 40% rispetto all’anno precedente, queste rappresentano ancora meno dello 0,5% delle vendite di prodotti brassati.
Anche in Italia questo settore non si è ancora sviluppato con forza (due anni fa rappresentava meno del 2% del volume del mercato delle birre), ma sta iniziando a farsi conoscere, soprattutto tramite la maggior pubblicizzazione e produzione da parte di diversi marchi del settore presenti sul nostro territorio.
Comparto delle birre analcoliche che quindi, come dimostrano i dati, continua la propria crescita anche nel nostro Paese (seppure ancora lentamente): uno sviluppo che è sospinto da un’offerta sempre più di qualità e dall’accresciuto interesse da parte degli appassionati di birra e non solo.