Partiamo dalle origini. Il sakè è un fermentato di riso, va bene. Ma sai come si produce?
Per cominciare, sapevi che il sakè è fatto con riso, acqua, lievito e spore? E conosci il suo vero nome?
Ve lo avevamo già detto: il sakè non va confuso con un distillato o un liquore. Errore comune, dovuto al suo colore trasparente, nonché al costume diffuso di berlo liscio, in piccoli bicchieri. Per sedare ogni dubbio: il sakè fa parte della famiglia dei fermentati esattamente come vino e birra, ma si contraddistingue dagli altri in quanto deriva dal riso.
UN PO’ DI CHIAREZZA SUL NOME
La bevanda conosciuta in occidente come sakè si chiama in realtà Nihonshu (日本酒 ) ossia “alcol giapponese”. Più precisamente, con il termine sakè indichiamo l’alcol più prodotto in una singola zona.
Per chiarirmi: se chiedessi un sakè in Toscana mi darebbero un Chianti. Se lo chiedessi in Giappone, mi darebbero un Hinonshu.
Tenete conto che esistono 47 prefetture in Giappone e ognuna produce sakè.
GLI INGREDIENTI DEL SAKE’
Riso
Per la produzione di sakè non si usa quasi mai il riso da tavola, ma in genere un riso chiamato Sakamai. Step importante è la levigatura del chicco. Innanzitutto, il chicco va liberato dallo strato esterno delle glumelle mediante una mola girevole (sbramino). L’obiettivo è eliminare la parte esterna più ricca di componenti lipidiche e proteiche al fine di utilizzare solo il centro del chicco (chiamato Shinpaku) per avere una maggiore concentrazione di amido. Quest’operazione garantisce di mantenere intatte le componenti (grassi, minerali e proteine) con il risultato di produrre un sakè più strutturato e complesso. Al contrario, tanto maggiore sarà la levigatura del chicco, tanto maggiore sarà l’eleganza.
Sciocchezze? Al contrario. Parliamo di un aspetto decisamente importante. Già, perché il tasso di levigazione del riso è un indice fondamentale delle caratteristiche che avrà il fermentato. Insomma, se sai come è stato prodotto il saké puoi immaginare il suo sapore anche prima di assaggiarlo.
Sia chiaro: sono tutte produzioni di qualità, che differiscono però per lavorazione, temperatura di servizio, tipologia di bicchieri ideale e abbinamenti. Da sapere, solo il 30% del sakè è prodotto con riso levigato. Il resto del sakè viene prodotto con riso sbramato, non levigato.
Acqua
L’acqua influenza profondamente il prodotto. Ecco perché deve essere molto leggera e con un bassissimo contenuto di ferro e di manganese.
Spore – il Koji-kin
Le spore sono muffe. Vengono cosparse su parte del riso utilizzato nella produzione del sakè e sono indispensabili per innescare il processo di saccarificazione (per la fermentazione è necessaria infatti una base zuccherina).
Lievito – il Kobo
I lieviti sono ovunque. Esseri viventi presenti nell’aria e sulle superfici che tocchiamo, hanno diverse forme. Alcuni sono più forti di altri, e alcuni, in determinate condizioni di temperatura, sprigionano componenti aromatiche di ampissimo spettro.
C’è chi dice che il lievito dia l’aroma al sakè.
I DUE MACRO TIPI DI SAKE’
Il sakè si può definire in base alla percentuale di sbramatura del riso, quindi. All’interno di questa macro categoria, ovvero al di là di quanto sia stato levigato il chicco di riso, il sakè si cataloga in due macro gruppi: quelli a base di alcol naturale e quelli con alcol aggiunto. Ecco tre esempi:
Junmai
L’ideogramma jun significa purezza e mai riso. Riso puro.
Indica infatti alcol naturalmente prodotto dalla fermentazione, senza ulteriore aggiunta di alcol.
Honjozo
La differenza con il Junmai, di cui ha la stessa sbramatura, è che a questo sakè viene successivamente aggiunto dell’alcol. Risultato? Al palato è più beverino, fresco e semplice e meno persistente.
LA RUBRICA APESAKE A cura di Simone Baggio e Nicole Cavazzuti
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