Seconda tappa consecutiva nel Paese più meridionale del continente africano per il viaggio alla scoperta delle birre di tutto il mondo: Sudafrica dove il panorama brassicolo odierno, come visto, affonda le proprie radici in un bagaglio storico-culturale di ricette e tradizioni sconfinato.
Se si tratta del primo produttore dell’antica bevanda di tutta l’Africa e di uno dei territori che, a livello mondiale, fa registrare i consumi maggiori, lo si deve infatti soprattutto all’esistenza di diverse bevande autoctone, prodotte da secoli e sempre dalle donne, come avviene presso gli altri gruppi etnici dell’Africa: fra queste vi sono la birra di marula e la birra Umqombothi delle quali abbiamo parlato.
Entrambe rivestono un ruolo sociale e culturale molto importante presso le varie popolazioni indigene locali: proprio dall’incontro fra queste e le conoscenze riguardanti l’antica bevanda dei coloni europei (prima gli olandesi e poi i britannici) è nato il movimento birrario sudafricano odierno che è in costante sviluppo.
Proprio dall’Olanda arrivarono i coloni che qui diedero un impulso fondamentale alla produzione della birra in chiave moderna che, inizialmente, non aveva la funzione di bevanda bensì di medicina: serviva a curare lo scorbuto, patologia che, nel ‘700, colpiva i marinai che navigavano per mesi in carenza di alimenti freschi e con a disposizione solo acqua imbevibile, piena di batteri.
L’estremità più meridionale dell’Africa era una tappa essenziale per le navi che dall’Europa trasportavano merci nelle Indie Orientali: per questo motivo, nella seconda metà del XVII secolo, per iniziativa della Compagnia Olandese delle Indie Orientali, vennero creati i primi insediamenti e il primo porto in quella che sarebbe diventata Città del Capo, dove sorse un’importante centro di lotta contro lo scorbuto.
Qui, a partire dal medesimo secolo, venne prodotta la Spruce beer, ovvero la birra a base di germogli di pino (‘spruce’ in inglese significa abete rosso): questi infatti apportavano alla bevanda il necessario quantitativo di vitamina C la cui carenza nell’organismo era alla base della malattia che colpiva i naviganti.
Lo storico scozzese George McCall Theal a riguardo scrisse: “Molte difficoltà si ebbero con la produzione della birra che si ritiene indispensabile nella cura dello scorbuto negli ospedali: l’orzo cresceva bene e non c’erano difficoltà nella produzione di malto, ma il luppolo fu piantato e ripiantato senza successo, malgrado tutte le cure che gli si dedicarono. Risulta che quest’ultimo, considerata l’importanza appunto della birra, veniva con gravi oneri importato dall’Europa”.
Ai germogli di pino venivano aggiunti quelli della pianta del tè per togliere un certo effetto astringente dato appunto dall’utilizzo dei primi: si facevano bollire per 3 o 4 ore, si setacciavano e all’infusione si aggiungeva uno sciroppo di melassa che serviva a sopperire all’assenza del mosto di malto.
A fermentazione avvenuta, per mezzo di un “lievito qualsiasi” affinché fermentasse, come riportano le fonti, si otteneva una bevanda gradevolissima al palato e dalle doti eccezionali per la salute dei marinai. Spruce beer che, nata come medicina, ha dato quindi un importante impulso al movimento brassicolo sudafricano, motivo per il quale ancora oggi viene proposta da numerosi birrifici locali.
Come dicevamo, questa bevanda è stata prodotta per la prima volta a Città del Capo, la capitale legislativa del Paese che oggi, con 30 micro birrifici ed un importante festival dedicato alla birra, è il cuore pulsante della ‘craft beer revolution’ del Sudafrica che conta circa cento realtà produttive.
Fra questi, ubicato nella medesima metropoli, troviamo l’ Ukhamba Beerworx fondato nel 2017 che si distingue per essere il primo birrificio di proprietà nera (un aspetto non di poco conto se si pensa a cosa è stata l’Apartheid rimasta in vigore fino al 1991): la proprietà infatti appartiene a discendenti del popolo Nguni che vanta un’antica tradizione nella preparazione della bevanda.
Per quanto riguarda invece la birra artigianale maggiormente apprezzata nel Paese, secondo il portale ‘Rate beer’, viene prodotta dal Woodstock brewery che prende il nome dall’omonimo e abbiente quartiere sempre di Città del Capo ed offre una selezione di dieci birre.
La bevanda in questione è la Mr.Brownstone che presenta una gradazione alcolica del 5,2%. Come si evince dal nome, si tratta di una brown ale ed inoltre è una birra stagionale che viene prodotta solo in autunno (la nostra primavera, quindi da fine marzo a metà giugno:il profilo aromatico presenta note di vaniglia, nocciola, cacao e biscotti al malto.
Panorama birrario sudafricano che dunque, partendo da un bagaglio storico-culturale di ricette e tradizioni sconfinato, offre una varietà di aromi e sapori altrettanto ampia, destinata a crescere ulteriormente nei prossimi anni. Questo grazie alla sempre più capillare presenza sul territorio dei prodotti artigianali che, come riportano i resoconti dei viaggi reperibili nel web, si trovano anche presso numerose stazioni di benzina: un’ulteriore dimostrazione dell’importanza che ha sempre avuto l’antica bevanda per questi popoli.