In tutto, 21 racconti: dallo Spritz al Martini passando per il Negroni.
Fantasiosi, ma sempre ispirati, se non proprio del tutto basati, su riferimenti storici concreti. Così -per esempio- troviamo il Conte Negroni a Firenze e Anthony Martini a New York.
Ecco Tra Ghiaccio e Bicchieri, un’antologia di novelle sulla storia dei cocktail firmata da Gabriele Palumbo, pubblicata da Book Sprint Edizioni.
Un’opera originale che ha richiesto ben due anni di lavoro e di ricerca. E che si rivolge a un pubblico trasversale di appassionati, curiosi e professionisti del settore.
“L’obiettivo? Emozionare e coinvolgere il lettore al punto da diventare un suo compagno di viaggio al bar, anche quando non sono con lui”, racconta l’autore.
Ti proponiamo qui una delle 21 storie del libro. Quella del Martini.
Martedì 31 maggio 1910 – New York
«Impara che sono fatto interamente di morte, dalla
testa ai piedi, che è un cadavere quello che ti
ama, ti adora, e non ti lascerà mai, mai più…»
«Una storia bellissima!»
«Non puoi sapere quanto. Immagina la scena…
nascosto dietro una maschera, che gli conferisce
il terrificante volto di un teschio, Erik professa
il suo amore ossessivo alla bella Christine,
giovane soprano dell’Opéra di Parigi, da lui
elevata a sublime interprete. Il folle personaggio
è un abile compositore e cantante, costretto a
nascondersi nei sotterranei del teatro parigino,
dove conosce gli angoli più segreti e in cui
riesce ad aggirarsi come un fantasma.»
«Caro John, mi ha fatto venire voglia di
leggerlo.»
«In sintesi, è questa la trama de Il Fantasma
dell’Opera e l’autore, Gaston Leroux, è un bravo
scrittore e giornalista francese. Te lo consiglio,
Anthony.»
«Non mancherò di leggerlo, la sua storia è nuova
e mi intriga. John, da lei c’è sempre da imparare,
è una fonte inesauribile di esperienza e cultura.»
… E come dargli torto? Altro che esperienza, il
John con cui stava parlando era nientemeno che
John Davidson Rockefeller, l’influente
imprenditore industriale statunitense, il
riformatore mondiale dell’industria petrolifera.
Pochi sapevano però che si trattasse di un vero
filantropo: l’uomo più ricco mai vissuto che, al
suo ritiro definitivo dagli affari, donò gran
parte del suo patrimonio in beneficenza e ai
familiari. La leggenda in vita. Un onore e un
piacere per Anthony averlo come cliente e come
amico.
Il barman ligure di Arma di Taggia era ormai
diventato, nonostante fosse poco più che ventenne,
una colonna all’interno del Knickerbocker Hotel di
New York… Knickerbocker, una garanzia, un cognome
inflazionato quando New York si chiamava New
Amsterdam, dove vivevano gli immigrati olandesi.
Anche i pantaloni alla moda in Europa avevano lo
stesso nome e persino un omonimo cocktail aveva
fatto la sua comparsa nel lontano 1862, con due
varietà: Knickerbocker Monsieur e Knickerbocker
Madame ma quella fu tutta un’altra storia.
Anthony era emigrato da un anno ma aveva trovato
subito lavoro e già poteva contare su una
clientela affezionata, vuoi per la sua destrezza
nel preparare cocktail, vuoi per la sua affabilità
ed empatia che, in modo assolutamente naturale,
nasceva tra lui e i suoi clienti. Aveva le sue
preferenze però… e John Davidson non lo batteva
nessuno, era un uomo di 71 anni con tanta voglia
di vivere e un bagaglio inesauribile di
innumerevoli vite vissute.
Anthony, ormai così lo chiamavano tutti, in
realtà si chiamava Antonio Queirolo, un cognome
molto diffuso in Liguria, era andato negli Stati
Uniti per fare fortuna ma non solo, i primi tempi
temeva lo chiamassero indietro, a casa, in Italia,
a fare il soldato. Voleva soltanto starsene
tranquillo a New York e allora pensò di cambiare
nome, andò all’immigrazione assicurando che c’era
stato un errore, perché il suo cognome era
Martini, in verità era il cognome della mamma. Gli
andò bene. E visto che a New York avevano
cominciato tutti a chiamarlo Anthony, per il mondo
era diventato Anthony Martini. Si sentiva onorato
di essere entrato nelle simpatie di Rockefeller,
data la differenza di età aveva per lui una forma
di rispetto ma anche di confidenza.
«John, le posso chiedere una cosa… ma se non
vuole, si senta libero di non rispondermi.»
L’uomo sorrise, quel ragazzo gli piaceva.
«Dai, spara…»
«È vero che la Corte Suprema degli Stati Uniti è
intervenuta sul suo patrimonio… come può essere
successo?»
«Sì, è vero. Proprio la Corte Suprema ha sancito
la separazione del mio patrimonio petrolifero,
perché ero arrivato a controllarne il 64% del
mercato mondiale e così ha fatto sì che questo
patrimonio si spezzettasse e desse vita a 34
compagnie separate. Naturalmente sono rimasto
azionista di tutte queste compagnie ma con quote
di minoranza. E posso dirtela tutta? Sono
soddisfatto così.»
La stima di Anthony per quell’uomo stava
raggiungendo vette inarrivabili.
«Caro il mio barman preferito, ora te la faccio
io una domanda, ma perché non ti chiami Antonio
Martini, visto che sei nato nel Paese più bello
del mondo…»
«Le farò una confidenza, non solo non mi chiamo
Anthony ma nemmeno il cognome è il mio…
la prego però di non dirlo a nessuno.»
Il ragazzo raccontò la sua storia e quell’uomo
vide nel giovane un’intraprendenza, un’astuzia,
una forza di carattere che gli ricordava tanto la
sua.
«Sei in gamba, ragazzo. Nella vita bisogna sempre
avere il piano B. Sai che Queirolo, il tuo
cognome, viene dal latino querolus ed era il
soprannome che veniva dato ai contadini ormai
stanchi dei soprusi fatti dai signorotti locali.
Significa piagnone, lamentoso… forse hai fatto
bene a cambiartelo!»
Sorrisero entrambi. Quella sera John Davidson
sembrava avesse voglia e forse bisogno di parlare.
«E lei non mi racconta qualcosa della sua vita,
qualche particolare non conosciuto…»
«Ho capito, sei curioso. Potrei definirla una
prerogativa italiana… La mia vita è come quella
degli altri, più o meno, e tieni conto che non è
mai tutto oro quello che luccica. Ho una moglie,
Laura, che è molto malata già da qualche anno ed è
il motivo per cui ho inizialmente trasferito le
mie attività, per essere al capezzale di mia
moglie. Ci siamo incontrati che eravamo ancora a
scuola, ci siamo amati e ci amiamo ancora. Pensa
che mi chiamavano il “Mefistofele di Cleveland”,
perché mi hanno sempre visto come l’uomo più
spietato e duro nel mondo degli affari ma nessuno
ha mai considerato che mezzo secolo l’ho dedicato
a mia moglie e ai miei cinque figli. Diciamo che è
l’altra mia faccia della medaglia, questo non
significa che non abbia avuto anch’io i miei
peccati.»
«Fermo restando che mi dispiace molto per sua
moglie, mi fa star bene che anche lei abbia avuto
le sue debolezze. Non ci sono stati altri amori?»
«Ti racconterò una storia che è vivida nei
ricordi. Nei miei lunghi viaggi ho conosciuto
persone uniche, persone degne della trama di un
romanzo. Quella volta eravamo nel 1870, io avevo
31 anni. Lei, francese, era bellissima, figlia di
nobili.
Una donna intraprendente, Adeline amava la
vita, leggere e viaggiare. Proprio un viaggio ci
fece incontrare e quel viaggio ci fece sbandare.
La ricordo ancora, i suoi capelli, solitamente
tirati indietro ai lati lasciavano cadere, con un
nodo basso, un grappolo di riccioli color
cioccolato. Aveva uno stile nel vestire precursore
della moda che poi esplose qualche anno dopo, i
suoi abiti erano delle vere sculture di tessuto,
con strascichi ricchi e gonne imponenti che
mettevano in risalto la sua bellezza. I corpini
che portava erano delle vere corazze, sembrava
disossata, erano guaine molto strette che non
lasciavano spazio all’immaginazione. Quella
silhouette a forma di S metteva in evidenza i
punti focali della sua avvenenza, il vitino da
vespa e l’onda che si andava a creare alla fine
della schiena. Meravigliosa. La ricordo nei
dettagli perché ne rimasi molto colpito. Immagina,
Anthony, che le donne non vestivano come adesso,
sono passati quarant’anni, ora niente strascichi,
mostrano le caviglie, adottano comode linee, hanno
abbandonato quei fronzoli che a un uomo come me,
di altra generazione, piacevano. Ora hanno dei
cappelli bellissimi, molto ricercati, ma
quarant’anni fa usavano le velette che, detta tra
noi, trovavo così sexy! Io e Adeline ci siamo
incontrati a Martinez… no, no, non quel Martinez
dal gusto delicato, precursore del Dry Martini… si
parla di Martinez, in California, quando eravamo
belli, giovani, pieni di voglia di vivere e, in
fondo, ci accorgemmo subito di essere troppo
diversi, troppo lontani e io ero sposato. Passammo
l’ultima notte insieme, consapevoli che fosse
proprio quella l’ultima, riscaldati dal fuoco di
un falò, dal calore dei nostri corpi, in compagnia
di un delizioso drink preparato dal nostro barman,
molto bravo e sempre lo stesso… Quel saluto tra
noi non fu un addio, ma non ci siamo mai più
visti. E proprio quell’ultimo giorno, ogni anno,
divenne idealmente il nostro momento, il nostro
incontro.
Avevo nella mente, e sono certo fosse
presente anche nella sua, quel solito tramonto
mozzafiato californiano, quel solito tavolo del
bar… due drink, tante parole non dette ma
accompagnate dal ritmo dei nostri cuori che
battevano all’unisono. Di sicuro, con il tempo ho
idealizzato la bella Adeline, proprio come
passione vissuta in una precisa parentesi di vita
che però amo sempre ricordare. Ora che ci penso,
rammento anche il nome del barman, ormai testimone
della nostra liaison… si chiamava Julio
Richelieu.»
«Una bella storia, malinconica, ma forse è giusto
sia andata così. Non sarebbe qui con sua moglie, a
rincuorarla e a rassicurarla in questo momento
difficile con la sua presenza. Ora però mettiamo
da parte per un po’ tristezze e malinconie e le
dico, caro John, che mi piace mettere il pennello
della creatività nei racconti dei miei clienti.
L’amore mi incuriosisce e ispira. Sempre. E dato
che io non sono da meno di quel tal Julio, le
dedicherò il mio cocktail.»
«Aspetta, Anthony, facciamo le cose per bene…»
John Davidson Rockefeller era conosciuto da tutti
e non ci mise molto a catturare l’attenzione dei
numerosi clienti dell’Hotel che abbandonarono le
chiacchiere per apprestarsi al bancone dove il
barman sembrava fosse pronto a proporre qualcosa
di nuovo. In fondo la curiosità non è solo
italiana.
«Ci siamo tutti? Benissimo. Sistemo più coppe
perché so che sarete in molti a volerlo
assaporare… Userò il gin e il vermouth dry, per
chi non lo conosce bene, quest’ultimo è un vino
aromatizzato, liquoroso, a base di artemisia,
spezie varie, fiori, a cui si sono aggiunti alcol
e zucchero, per dare più consistenza, rotondità e
forza al liquore. Ora, nelle coppe ci metto
cubetti di ghiaccio affinché possano raffreddarsi
e, per lo stesso motivo, del ghiaccio anche nel
mixing glass, ovvero la caraffa dove poi inserirò
gli ingredienti e, per freddarla prima, giro con
un barspoon. Verso ora 1 cl di vermouth dry, poi 6
cl di gin e mescolo con il barspoon. Intanto tolgo
il ghiaccio dalle coppette e verso il drink
filtrandolo. Infine, strizzo lievemente la scorza
di limone su ogni cocktail e, se qualcuno lo
preferisce, lo può accompagnare con un’oliva.»
Rockefeller lo stava osservando scrupolosamente,
gli piaceva vedere quel giovane alle prese con una
nuova creazione e anticipò i presenti, pronti a
chiederne il nome.
«Ed è subito Dry Martini. Si chiamerà
come te, cosa ne dici?»
«Un’idea grandiosa ma sarà dedicato a lei, al
grande John Davidson Rockefeller.»
«Grazie! Che odore e che sapore! E allora si
potrà dire che se in quelle ore che precedono la
notte si degusterà un Dry Martini, sarà facile
dimenticarsi del resto del mondo. Diventerà il re
dei cocktail e sorseggiarlo potrà essere un
momento di tale appagamento nel quale sarà
impossibile non rimanerne sedotti anche solo
osservando il rituale della sua preparazione,
quasi come una pregustazione. Sarà un’espressione
di cultura, un modo di vivere dietro al quale si
nasconderanno storie reali e fantastiche. E ti
dirò di più, caro Anthony, non ricordo più il
drink di Julio Richelieu, magari era simile, ma
questo che tu hai preparato lo assaporo con il
gusto degli anni e mi sembra decisamente più
buono.»
«Il connubio indivisibile tra il Martini cocktail
e la sua oliva lo abbiamo intrappolato in una
sfera pronta a esplodere come l’amore che ci ha
ispirato.»
Anthony era davvero un ragazzo intelligente e
sensibile e John, felice della novità e della
dedica, si rivolse ai presenti con il bicchiere in
mano:
«Un aperitivo ottimo, ghiacciato, poco diluito,
asciutto, che lascia il palato pulitissimo, ma non
è un drink facile, serve una bocca abituata ai
sapori forti. Ha circa 36 gradi, non lo si può
definire certo leggero. Sono già al secondo e vi
assicuro che ordinare il cocktail Martini non vuol
dire solo bere un drink, ma ogni volta significa
godere nell’osservarne il rituale della
preparazione, pregustando l’incontro con questo
prelibato nettare. Anthony è l’emblema del barman
perché rappresenta l’eleganza, la perfezione, la
creatività. Questo drink sarà un piacere
artistico per chi lo prepara e un piacere lussuoso
per chi lo assapora.»
Tutti i presenti non ebbero dubbi, ordinarono
quel cocktail e non un altro.
«Vi chiedo pazienza, pochi minuti… ed è subito
Martini, anzi Dry Martini.»