Come deperisce la qualità della birra in fase di produzione e i metodi scientifici utili per contrastare questo fenomeno.
Sia i birrifici artigianali che quelli industriali devono poter fare affidamento su un rilevamento rapido, affidabile e preciso dei microrganismi “deterioranti” per evitare ogni possibile contaminazione dei propri prodotti: a causa della natura di certi microrganismi infatti questi potrebbero non essere rilevati così facilmente dalle tecniche di microbiologia tradizionale.
Una contaminazione della birra può produrre non solo sapori sgradevoli, acidi e aromi indesiderati, ma portare anche ad un deterioramento del prodotto con perdite di tempo e soprattutto d’ investimenti di una certa rilevanza: ancora peggio, l’alterazione microbica può provocare richiami di lotti con conseguenti ricadute sull’immagine del marchio.
Come parte del programma di gestione della qualità di un birrificio, gioca quindi un ruolo di primaria importanza l’identificazione delle fonti di contaminazione e cercare in ogni modo d’ impedire l’ingresso di microrganismi dannosi all’interno dell’azienda: motivo per cui l’intero processo produttivo, dalla supervisione delle materie prime all’ispezione dei locali dove si svolge ogni fase del lavoro, compresi imbottigliamento ed imballaggio, dev’essere monitorato in maniera meticolosa.
Per esempio le materie prime, aggiunte mentre la preparazione della birra è già in corso, nonostante la fase di sterilizzazione che avviene all’interno del bollitore, potrebbero essere comunque contaminate, ma non solo: l’impianto stesso può ospitare microrganismi, detti “spoiler”, che si possono trovare anche in serbatoi, tubazioni, sistemi di raffreddamento, strumenti di misurazione, sul pavimento e persino nell’aria.
I microrganismi più diffusi che alterano la qualità delle birre, sono batteri e lieviti selvatici. I primi, di norma, non sopravvivono nella birra, tuttavia alcune specie, fra cui il Lactobacillus ed il Pediococcus, che vengono spesso indicati come i batteri dell’acido lattico (LAB), possono farlo. Sono di gran lunga gli spoiler della birra maggiormente individuati all’interno dei birrifici e vengono considerati i responsabili del 90% delle contaminazioni.
I LAB mostrano una particolare resistenza al luppolo grazie alla presenza di geni che non possono essere rilevati dai tradizionali test microbiologici: solo la tecnica di biologia molecolare della reazione a catena della polimerasi (PCR) può identificare i batteri resistenti al luppolo e la loro capacità non solo di sopravvivere nei luoghi di produzione della birra, ma anche di moltiplicarsi nel tempo facendola deperire in un secondo momento.
I lieviti selvatici invece sono problematici perché possono vivere nella birra e resistere a livelli di alcol elevati, anche con ossigeno limitato ed in ambienti caratterizzati da un pH basso: il più problematico di tutti è il Saccharomyces diastaticus (che si identifica sempre grazie alla PCR) che causa una fermentazione eccessiva. La fonte della contaminazione può essere il lievito utilizzato oppure il birrificio stesso tramite fusti, fermentatori, impianto d’imbottigliamento e ambiente.
Quali quindi gli elementi che giocano un ruolo fondamentale nell’individuare il miglior metodo di rilevamento dei microrganismi deterioranti?
Sono: velocità, sensibilità e specificità.
I birrifici, come visto, oggi possono contare su due tecniche: la microbiologia tradizionale basata sullo studio dei terreni di coltivazione e l’analisi di biologia molecolare (PCR).
Il rilevamento tradizionale necessita di un tecnico qualificato per prelevare i campioni facendo attenzione a possibili contaminazioni esterne, di conoscere a fondo i terreni di coltura e di saper interpretare i risultati in relazione agli standard qualitativi del birrificio per il quale svolge il lavoro. Uno dei vantaggi di questa tecnica è quello di avere dei costi limitati, ma presenta tempistiche lunghe (da 2-4 giorni per i batteri e da 5-10 giorni per i lieviti) e i risultati non sono sempre del tutto esatti.
La biologia molecolare invece garantisce il rilevamento e l’identificazione degli ‘spoiler’ direttamente all’interno del birrificio e, cosa più importante, il medesimo giorno dell’analisi. Tale moderna tecnica identifica un segmento specifico del DNA del microrganismo bersaglio e amplifica questa traccia numerose volte per rilevarne la presenza: un metodo che garantisce risultati di grande affidabilità, motivo per cui è quella maggiormente utilizzata dai birrifici che possono sostenerne i costi.