Era prevista a fine gennaio. Invece l’apertura del Dirty, il nuovo cocktail bar di Mario Farulla a Milano, si farà attendere ancora un po’.
Non troppo, però. “Siamo quasi pronti, stiamo sistemando gli ultimi particolari”, ci assicura Farulla. Anche se una data precisa, per l’inaugurazione, ancora non c’è.
Del resto, un allungamento dei tempi rispetto alle previsioni iniziali è abbastanza normale, quando si tratta di dare vita a un nuovo locale. Soprattutto di questi tempi, fra problemi di approvvigionamento che si aggiungono alle “solite” lungaggini della burocrazia. E soprattutto se si parte totalmente da zero: i locali che ospiteranno il Dirty, in zona Porta Venezia, erano occupati fino a qualche mese fa da un’autofficina. Il che significa che è stato necessario “tirare su” ex novo tutti gli ambienti, bagni compresi.
Nel frattempo, mentre muratori e carpentieri sistemano gli ultimi dettagli, Farulla e il suo team sono al lavoro sulla drink list. Al momento ancora top secret. Di certo, lo slittamento dell’apertura non fa che accrescere la curiosità. Un po’ perché Mario Farulla non è un bartender qualunque, visti i trascorsi – tra l’altro – come bar manager del Baccano a Roma e del BV Club di Bruno Vanzan a Milano. Un po’ perché il Dirty si annuncia come un locale niente affatto convenzionale.
“Finalmente lavorerò in un posto che somiglia profondamente a me, alla mia anima scompigliata, casinista e politicamente scorretta. Un posto vero per persone vere, brutale come la semplicità delle cose chiare, oneste”, ha anticipato Farulla sui social nei mesi scorsi; “Un bar talmente brutto da essere bellissimo”, “talmente basico da rompere tutte le sovrastrutture inutili che in questi anni si sono create”.
E infatti, per sottolineare quanto la sostanza sia più importante della forma, nel locale ci saranno in bella evidenza i distillati prodotti dalla Cringe Company dello stesso Farulla e confezionati in taniche in plastica riciclabile da 4,5 litri: “Una scelta pensata per distanziarci da chi ha sostituito la bellezza del proprio packaging alla qualità del proprio prodotto”. Più “dirty” di così…
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