HomeBirraGiro del mondo in birra: Gran Bretagna, seconda parte

Giro del mondo in birra: Gran Bretagna, seconda parte

La scorsa settimana, il tour è arrivato oltremanica per raccontare la storia della birra in una delle sue culle. In Gran Bretagna, infatti, come noto, la bevanda fa da sempre parte della cultura e delle tradizioni della popolazione: lo dimostrano reperti archeologici rinvenuti in Scozia, che provano che in queste terre veniva prodotta già circa 5mila anni fa.

Oggi, il mercato brassicolo del Regno Unito, continua a rappresentare uno dei punti di riferimento del palcoscenico mondiale: questo grazie a circa 1900 marchi attivi, per una produzione complessiva annua di 38,4 milioni di ettolitri (seconda in Europa dietro solo alla Germania), e ad un consumo pro capite annuo che, secondo il ‘World beer index’ si aggira sui 244 litri.

Ma, senza dubbio, è ancor più sul piano del valore storico, dell’enorme patrimonio tradizionale e culturale che il Paese riveste un ruolo fondamentale nella storia della birra dai suoi albori fino ai nostri giorni: questo grazie all’ampia varietà di tipologie modellate, nei secoli, dalla creatività dei mastri birrai del regno.

Se attualmente ha ancora tale importanza, parte del merito va riconosciuta anche all’azione svolta, a partire dal 1971, anno della sua fondazione, dal Camra (Campaign for Real Ale), l’associazione che si batte per la tutela e la valorizzazione di tutte le tipologie brassicole britanniche storiche, alcune delle quali rischiavano di sparire.

Un lavoro che ha assunto ancora più importanza negli ultimi anni, i quali hanno visto un arretramento del livello di popolarità degli stili classici battenti bandiera UK a favore di quelli con targa Usa: una tutela rivelatasi efficace grazie al lavoro dei mastri birrai che hanno saputo rilanciare i loro prodotti e all’abilità comunicativa di alcuni produttori nel promuovere il proprio lavoro.

Una difesa della tradizione che però è aperta alle nuove ricette e agli ingredienti (soprattutto il luppolo) provenienti dagli Stati Uniti: incontro fra due culture brassicole che, oltremanica, ha dato vita ad una serie di referenze qualitativamente interessanti. Ma andiamo con ordine, e iniziamo la nostra esplorazione, che proseguirà la prossima settimana, degli stili britannici, a cominciare da quelli più legati alle radici storiche della bevanda.

L’ampissima varietà stilistica attuale nasce, in gran parte, nei decenni che vanno dalla fine del XVII secolo agli inizi di quello successivo: già dal 1642, infatti, nel Regno Unito si era andato diffondendo l’innovativo sistema (un brevetto nazionale) dell’essiccazione del cereale in forni a getto d’aria (anziché a fiamma diretta), la cui tecnologia consentiva di ottenere colorazioni (e conseguenti sfumature aromatiche) più chiare rispetto al passato.

A questa innovazione si deve l’entrata in scena di una birra alla quale, nel 1703, sarebbe stato “ufficialmente” impartito il battesimo di ‘Pale Ale’: una tipologia che, nel volgere di pochi anni sarebbe diventata una delle più iconiche dell’intera produzione brassicola d’oltremanica, ruolo che detiene tutt’oggi.

Letteralmente, quest’espressione significa “birra pallida”: ma perché “pallida” se è una bevanda ambrata? Semplice, perché la norma era rappresentata da prodotti decisamente più scuri, di colore bruno intenso: si trattava delle odierne ‘brown ale’, ma allora non avevano bisogno di una descrizione di tipo cromatico in quanto, seppur con alcune sfumature, allora l’aspetto delle birre qui era sempre scuro.

birra brown ale

Le varianti, infatti, interessavano altri aspetti: prima di tutto l’impiego del luppolo in quantità significative o, al contrario, contenute, se non limitate al minimo. Nel primo caso, nascevano quelle che venivano indicate come “Beers” (meno rispecchianti la tradizione e che si diffusero a partire dal XV secolo in seguito ai frequenti contatti con i mercanti dell’Europa continentale, soprattutto tedeschi e olandesi).

Dal secondo modo di produrre, invece, traevano origine le “Ales” (termine che, in questa fase, non si contrapponeva ancora a ‘Lagers’, dato che la distinzione tra alta e bassa fermentazione avrebbe iniziato ad avere ragione di esistere solo a partire dalla fine dell’ottocento).

Beers e Ales, inoltre, all’epoca, venivano identificate in base alla città o alla zona di produzione e alla loro gradazione alcolica: fattore, quest’ultimo, strettamente connesso alla terza metodologia di produzione, quella che prevedeva l’impiego di limitate quantità di luppolo.

In questo caso, da uno stesso ammostamento, utilizzandone tre parti liquide (la prima molto densa e con un’elevata concentrazione di zuccheri; la seconda, dal medio tenore zuccherino, derivante dal primo lavaggio degli scarti; la terza, più diluita, frutto della seconda mondatura delle rimanenze), si ricavavano tre diverse birre, ciascuna delle quali avrebbe dato vita ad un vero e proprio stile brassicolo.

Da questo procedimento sarebbero infatti nate le“Mild”, birre leggere e, anche per questo, destinate ad un consumo rapido, le “Ale” o “Common”, caratterizzate da una media caratura alcolica, e le “Strong Ales” oppure “Old Ales”, ovvero quelle più forti, conservabili più a lungo, con maturazioni in botte che ne elevavano la complessità sensoriale.

procedimento birra

Si trattava, in tutti i casi, di bevande con un profilo aromatico deciso e ben definito, dato dalle modalità di preparazione della cotta nella sua interezza, con riscaldamenti a fiamma diretta (dunque con tempi più lunghi e con meno uniformità di erogazione del calore), sia in fase di ammostamento che di bollitura.

Questo, inoltre, consentiva di ottenere la caramellizzazione degli zuccheri presenti nella bevanda: una peculiarità, ancora oggi, di alcuni degli stili brassicoli britannici più iconici che trovano, per l’appunto, la loro origine storica in questa metodologia procedurale, distintiva e unica.

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Nicola Prati
Classe 1981. Subito dopo la maturità classica, inizia a collaborare con la ‘Gazzetta di Parma’ (2000): una collaborazione giornalistica che durerà otto anni. Contemporaneamente, dal 2005 al 2008, fa parte dell’ufficio stampa del Gran Rugby Parma. Successivamente, fra le altre esperienze lavorative, quella nell’ufficio comunicazione interna di Cariparma Credit Agricole e nella direzione relazioni esterne del gruppo Barilla. Le sue due più grandi passioni sono tutti gli sport e la musica. A queste, si aggiungono la lettura, i viaggi e la cucina. Collabora con ApeTime da gennaio 2021.

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