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Giro del mondo in birra: Nicaragua

Prosegue il giro nel mondo alla scoperta di tutte le tipologie di birra, dei birrifici e delle produzioni domestiche dell’antica bevanda.

Dopo la tappa in Nepal dove viene prodotta la tradizionale tchyanga, il giro del mondo in birra si sposta in Nicaragua.

Il tour torna in Centro America, per la precisione in Nicaragua dove vi è un settore brassicolo molto poco sviluppato a causa di due fattori: l’elevato tasso d’indigenza della popolazione (secondo l’ultimo rapporto delle Nazioni Unite il 48% vive sotto la soglia di povertà e il 79,9% con meno di due dollari al giorno) e un regime politico dittatoriale.

Instaurato nel 2018 dal presidente Daniel Ortega con arresti e omicidi di oppositori, rappresentanti della Chiesa cattolica e non solo arbitrariamente accusati di stare ideando un colpo di Stato.

Queste le ragioni per cui, al contrario di quanto avviene nel vicino Guatemala che, come abbiamo avuto modo di vedere presenta una florida ‘craft beer revolution’ grazie ad un numero di piccoli birrifici artigianali in continuo aumento che si affiancano a quelli industriali, in questa ex colonia spagnola vi sono solo due aziende, una per tipologia, dedite alla produzione dell’antica bevanda.

Per quanto riguarda la produzione su larga scala, troviamo la ‘Compañía cervecera de Nicaragua’, con sede nella capitale Managua, fondata il 18 marzo 1926 da un gruppo d’imprenditori locali.

L’azienda conta cinque referenze fra le quali spiccano la pilsner Victoria (lanciata sul mercato nel 1942: la più vecchia della casa ancora in commercio) e la lager Toña (dal 1977).

bottiglia di birra lager Toña

La prima, con una gradazione alcolica del 4,9%, si presenta di color giallo dorato con intensi aromi floreali e di miele che si uniscono alle note dei malti utilizzati.

La seconda presenta una schiuma sottile ed un profilo aromatico decisamente dolce dato dall’abbondante uso di malto.

Per quanto riguarda invece l’unico esponente della ‘craft beer revolution’ nicaraguense, si tratta della ‘Cerveceria San Juan del Sur’ ubicata nell’omonima località turistica affacciata sull’Oceano Pacifico: una delle mete preferite dai turisti americani prima che la situazione sociale e politica degenerasse.

Inaugurato nel 2014 da un gruppo di amici surfisti, come si legge sul sito del piccolo birrificio, ha come obiettivo principale quello di ‘aumentare la curiosità per i diversi stili brassicoli e creare una cultura della birra artigianale in Nicaragua’.

Questo per quanto riguarda la modesta produzione locale in chiave moderna: la situazione di grave indigenza della maggior parte della popolazione infatti fa sì che non vi siano investimenti nel settore e che sia ancora la birra tradizionale, prodotta da secoli nelle abitazioni di tutto il Mesoamerica (la macro regione che si estende dal Messico meridionale al Costa Rica), ad essere di gran lunga la più diffusa.

Si tratta del pulque, un fermentato ricavato dall’Agave salmiana che può essere considerato a tutti gli effetti una birra avendo in comune molto del processo produttivo, soprattutto se paragonato con le birre ancestrali, ovvero quelle che si producevano migliaia di anni fa, o a quelle a fermentazione spontanea tipiche del Belgio.

pulque, birra tradizionale

Quando la pianta ha tra i 4 e i 6 anni e sta per raggiungere l’apice del suo sviluppo, presenta un cono centrale affilato e le foglie più basse non hanno più spine nel lato inferiore, mentre quelle centrali sono protette da grossi aculei rivolti verso l’alto: in questo momento, e in fase di luna crescente, si effettua la “castrazione” dell’agave, ovvero si stacca il bocciolo del fiore.

In questo modo, comincia a sgorgare la linfa che viene raccolta in un profondo recipiente: inizia quindi la fase di invecchiamento che dura dai 6 ai 12 mesi.

Quando sulle foglie si notano delle macchie, si procura una cavità nella parte superiore della pianta, dove si concentra la linfa o aguamiel di colore bianchiccio e sapore dolce (questa fase viene chiamata picazon o “prurito”).

Dopo quattro giorni, cominciano a prodursi delle escrescenze che vengono raschiate via per favorire la fuoriuscita di altro succo: questo viene raccolto per un paio di giorni alla mattina e alla sera, e anche a mezzogiorno per evitare che eventuali piogge lo diluiscano.

Questo processo richiede grande attenzione: è indispensabile infatti che l’aguamiel non tocchi foglie e barbe circostanti che comprometterebbero il sapore e la genuinità del pulque.

In seguito, viene lasciato fermentare in botti di legno fino a quando non si forma una patina chiamata zurrón che può impiegare dagli otto ai trenta giorni per comparire a seconda delle stagioni e delle variazioni termiche: questa patina viene rimossa e si aggiunge dell’altro aguamiel fresco fino a riempire le botti.

Il pulque, aromatico e fresco, è pronto e presenta una gradazione alcolica fra il 5 ed il 10%, ovvero come la maggior parte delle birre.

Il pulque infine viene bevuto semplice o “curado”, ovvero con l’aggiunta di frutti come ananas, arancia, fragola, chirimoya e guayaba.

Possiede un forte valore nutritivo ed è un buon integratore proteico e calorico: in tal modo compensa la mancanza di verdure e proteine nella dieta, motivo per cui questa birra tradizionale, ancora oggi, in Nicaragua, e non solo, ha un importante valore sociale e culturale.

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Nicola Prati
Nicola Prati
Classe 1981. Subito dopo la maturità classica, inizia a collaborare con la ‘Gazzetta di Parma’ (2000): una collaborazione giornalistica che durerà otto anni. Contemporaneamente, dal 2005 al 2008, fa parte dell’ufficio stampa del Gran Rugby Parma. Successivamente, fra le altre esperienze lavorative, quella nell’ufficio comunicazione interna di Cariparma Credit Agricole e nella direzione relazioni esterne del gruppo Barilla. Le sue due più grandi passioni sono tutti gli sport e la musica. A queste, si aggiungono la lettura, i viaggi e la cucina. Collabora con ApeTime da gennaio 2021.

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