Oggi esploriamo l’affascinante panorama brassicolo della Nigeria tra birre tradizionali, molto diverse una dall’altra, e la bevanda locale ‘otika’ prodotta utilizzando il sorgodella savana nigeriana.
Terza tappa consecutiva in un continente diverso per il viaggio alla scoperta delle birre industriali, artigianali e tradizionali prodotte nel mondo: due settimane fa infatti si trovava in Nepal dove, ai piedi dell’Himalaya, da secoli si produce la bevanda tradizionale ‘tchyang’, mentre sette giorni fa era in Nicaragua dove è diffusissimo il ‘pulque’, un fermentato ricavato dall’Agave salmiana che, per metodo di produzione e caratteristiche organolettiche, può essere considerato a tutti gli effetti una birra.
Il tour oggi attraversa l’oceano atlantico e torna in Africa dove, come abbiamo avuto modo di vedere in diverse occasioni, esiste un panorama brassicolo affascinante soprattutto per quanto riguarda le birre tradizionali che, data l’eccezionale biodiversità di questi sconfinati territori, sono molto diverse una dall’altra.
Anche in Nigeria, meta di questa settimana, esiste una bevanda realizzata da secoli: si chiama ‘otika’ e viene prodotta utilizzando il sorgo (il cereale che più si adatta alle coltivazioni in aree semi desertiche) della savana nigeriana con l’aggiunta di pochi e indispensabili ingredienti.
Per quanto riguarda la preparazione della bevanda, che richiede alcuni giorni di lavorazione, pure qui, secondo una tradizione molto diffusa in tutto il continente, viene realizzata dalle donne. Il primo passaggio prevede che il sorgo venga immerso in acqua per un periodo che va dalle sette alle dieci ore e lasciato germogliare coperto con foglie di manioca o taro per mantenerlo umido.
Successivamente, viene lasciato asciugare al sole per tre giorni: una prassi che ricorda, almeno in parte, il processo di maltatura industriale. Una volta asciutto, il sorgo viene macinato, riposto in una pentola (chiamata canari) con acqua e cotto per sei, otto ore.
ll liquido filtrato ottenuto viene chiamato “tossé”: a questo si aggiunge del lievito ed il composto viene lasciato fermentare durante la notte: il risultato finale è una bevanda alcolica semi-fermentata che, nel tempo, continua a fermentare, motivo per cui il tasso alcolico aumenta.
L’otika non si conserva a lungo, motivo per cui viene prodotta, distribuita e consumata nell’ambito delle diverse comunità locali: una bevanda tradizionale la cui sopravvivenza, nei Paesi di quest’area dell’Africa economicamente più sviluppati come la Nigeria, è messa in pericolo dalle birre industriali locali ed importate.
Abbiamo infatti già avuto modo di sottolineare come l’Africa si trovi al centro degli interessi commerciali dei grandi produttori della bevanda: lo si deve al fatto che, nell’ultimo decennio, in Africa i consumi sono cresciuti del 4% ed inoltre, secondo le stime, entro il 2025, in questo continente si svilupperà il 30% del mercato mondiale della birra.
Proprio la Nigeria costituisce uno dei mercati strategici per lo sviluppo della produzione industriale dell’antica bevanda nel continente: dispone infatti della migliore economia africana per quanto riguarda il prodotto interno lordo (26ma a livello mondiale) ed inoltre, con più di 215 milioni di abitanti, è il sesto Paese più popoloso del mondo (e di gran lunga il primo del suo continente: secondo è infatti l’Etiopia con meno di 121).
Questi due fattori incidono in modo determinante sui consumi in un territorio nel quale, anche per il fatto di essere stato una colonia inglese fino al 1960, la birra fa parte delle tradizioni della popolazione locale: basti pensare che, nel primo semestre del 2022, sommando i dati delle vendite realizzate dai quattro maggiori produttori nazionali, sono stati consumati ben 11 milioni di litri di birra.
Ecco che, per i motivi appena elencati, qui si assiste ad un autentico duello fra due colossi del settore quali Guinness e Heineken, con il primo (presente in Nigeria dal 1860) che ha appena investito 225 milioni di dollari per ampliare i due stabilimenti situati nel sud del Paese in modo tale da raddoppiarne la produttività (da 3,5 milioni di litri annui a 7) e creare circa 200 nuovi posti di lavoro.
Il gruppo olandese invece, che a livello di esportazioni è operativo in quest’area fin dal 1900 ed ha aperto il suo primo birrificio nel 1949, ha recentemente acquisito altri due birrifici locali che gli consentiranno, con ogni probabilità, di rafforzare la propria leadership nel mercato interno dove attualmente detiene il 37% delle quote.
Come accennato in precedenza, la Nigeria è stata una colonia britannica e, per questo motivo, le tradizioni brassicole anglosassoni si sono radicate in quelle locali, come avvenuto in tante altre parti del mondo, ed in questo caso a tal punto da creare una situazione molto particolare per quanto riguarda il panorama brassicolo nazionale e i due colossi del settore qui presenti.
I nigeriani infatti hanno una grande passione per la stout, ovvero lo stile brassicolo rappresentato, a livello mondiale, dalla Guinness: essendo questo un mercato strategico, il gruppo Heineken (un fatto comunque più unico che raro, nonostante gli evidenti interessi economici, essendo gli olandesi notoriamente molto legati al loro logo e alla loro ‘classica’ birra conosciuti in ogni angolo del pianeta) qui ha deciso di produrre anche una stout (la Legend extra) che, come riportato dal portale ‘Rate beer’, compete in fatto di gradimento con la scura più famosa del mondo.
Dalla Nigeria quindi, grazie alla birra tradizionale ‘otika’ prodotta da secoli, e al duello industriale fra due big del settore iniziato da qualche decennio, arriva un altro esempio molto interessante di quanto sia variegato e ricco di sorprese il panorama mondiale dell’antica bevanda, motivo per cui continua a sorprendere ad ogni tappa di questo lungo viaggio.