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Giro del mondo in birra: Vanuatu

La scorsa settimana il viaggio alla scoperta di tutte le birre prodotte nel mondo (siano esse artigianali, tradizionali o industriali) si trovava in Asia centrale, per la precisione in Uzbekistan. L’ex repubblica sovietica, come abbiamo avuto modo di vedere, presenta un panorama brassicolo assai variegato.

Un offerta birraria che si amplia di anno in anno grazie sia alla presenza dei big del settore, come la Carlsberg che produce il popolare marchio Sarbast, sia di numerosi birrifici artigianali fra cui troviamo il ‘Craft Brewing company’ che propone ben 35 diverse birre.

In questo nuovo appuntamento invece il tour approda nell’arcipelago di Vanuatu situato in Oceania: un continente questo che, per quanto riguarda l’offerta birraria presenta delle enormi differenze dovute, ovviamente, alle macroscopiche disparità in fatto di dimensioni territoriali e popolazione.

Basti pensare all’Australia, sesto Paese del mondo per estensione, dove vengono prodotte diverse tipologie di birra e vi sono più di 700 attività operative nel settore: l’esatto contrario di quanto avviene nella piccola Vanuatu che conta solo poco più di 300mila abitanti.

La differenza è dovuta anche al fatto che, fino all’arrivo dei colonizzatori europei, che si sono insediati qui fra la seconda metà del ‘700 e la fine ‘900, nell’arcipelago vanuatiano in pratica non esistevano bevande alcoliche: vi era solo un distillato che si ricavava da un’erba di nome ‘kava’, tipica di quelle isole, che, per le proprietà organolettiche, ricorda la valeriana e che veniva bevuto solo in occasione d’importanti cerimonie religiose.

Furono in modo particolare i soldati britannici (questi territori infatti sono stati una colonia della corona inglese, oltre che un protettorato francese, dalla seconda metà del XVIII secolo al 1980, anno dell’indipendenza) ad insegnare alla popolazione di queste piccole isole l’arte brassicola e quella della distillazione: nonostante questo, in quelle terre, le bevande alcoliche non sono mai state particolarmente apprezzate.

Lo dimostrano i dati relativi ai consumi interni di alcolici: prendendo in esame le statistiche relative alla birra si nota come, ad esempio nel 2019, il consumo pro capite annuo sia stato di 6 litri. Un numero che include i consumi dei turisti i quali incidono per il 75%: questo è dovuto al fatto che la maggior parte della popolazione locale vive in una situazione di grande indigenza.

L’incontro con i colonizzatori europei, in modo particolari gli inglesi, ha fatto però in modo che la birra, almeno in parte, entrasse a far parte della cultura vanuatiana: lo dimostra la presenza di due piccoli birrifici artigianali che propongono alcuni degli stili brassicoli più iconici del pianeta, in modo particolare proprio quelli di matrice britannica.

Questo è il caso del ‘Seven Seas brewery’ (il ‘birrificio dei sette mari’) con sede nella capitale Port Vale che, a partire dal 2013, fra le altre, propone la porter ‘Happy dog’s’. La birra, come prevede lo stile d’oltremanica, si presenta di colore marrone intenso con una sottile schiuma bianca: l’aroma invece mette in risalto note di caffè e cioccolato.

Un’altra referenza della casa molto apprezzata dagli appassionati locali dell’antica bevanda è la apple cider, ovvero una lager aromatizzata alla mela verde. La birra in questione, con una gradazione alcolica del 5%, è caratterizzata da una colorazione giallo dorata e da un equilibrio aromatico fra l’acidità del frutto e la dolcezza del malto.

Il ‘Seven seas brewery’, come detto, non è l’unico protagonista del panorama birrario locale: nell’arcipelago situato nel Pacifico troviamo infatti anche il ‘Vanuatu brewing’, fondato nel 2003, con sede nei pressi della capitale Port Vale, che offre otto diverse referenze brassicole.

Il birrificio in questione propone gli stili birrari tipici sia delle scuole europee che di quella americana. Il prodotto di punta della casa e leader del mercato interno è la lager Tusker: la bevanda, con una gradazione alcolica del 7%, si presenta di colore giallo dorato limpido con un aroma dolce e fruttato.

birra Tusker

Il portale ‘Rate beer’, in relazione a questa piccola realtà produttiva, sottolinea come, secondo i pareri degli appassionati locali, la birra maggiormente apprezzata della casa sia la ‘Nambawan ale’ (nel dialetto locale ‘la birra che guarisce’): si tratta di una bevanda brassata che mette in risalto note aromatiche di malto e caramello.

Le due realtà produttive di cui abbiamo scritto, possono quindi essere definite delle attività pionieristiche dell’arte brassicola nell’arcipelago di Vanuatu, soprattutto se si considera che prima dell’arrivo dei colonizzatori europei, contrariamente a quanto avviene nella maggioranza dei Paesi del mondo, qui non esistevano antenate delle moderne birre.

Date però le scarse risorse economiche della maggior parte della popolazione, non è possibile stabilire se, nei prossimi anni, qui sorgeranno altri veri e propri birrifici che daranno modo al settore birrario di svilupparsi e di creare una vera e propria cultura locale dell’antica bevanda.

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Nicola Prati
Nicola Prati
Classe 1981. Subito dopo la maturità classica, inizia a collaborare con la ‘Gazzetta di Parma’ (2000): una collaborazione giornalistica che durerà otto anni. Contemporaneamente, dal 2005 al 2008, fa parte dell’ufficio stampa del Gran Rugby Parma. Successivamente, fra le altre esperienze lavorative, quella nell’ufficio comunicazione interna di Cariparma Credit Agricole e nella direzione relazioni esterne del gruppo Barilla. Le sue due più grandi passioni sono tutti gli sport e la musica. A queste, si aggiungono la lettura, i viaggi e la cucina. Collabora con ApeTime da gennaio 2021.

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