Innovatore, inventore di cocktail diventati famosissimi, autore di uno dei testi più importanti del settore: per questo, e per altro ancora, Harry Craddock ha lasciato un segno come pochi altri nella storia della mixology.
Possiamo anche definirlo “il bartender dei due mondi”: nato nel 1876 in Inghilterra (a Stroud, per la precisione), a 22 anni Harry Craddock si trasferì negli Stati Uniti dove, fra il 1901 e il 1911, lavorò in diversi bar d’hotel a New York e Chicago.
In America si trovò bene, tanto da diventare cittadino statunitense nel 1916. E sarebbe probabilmente rimasto oltreoceano se non fosse che, il 17 gennaio 1920, l’entrata in vigore del National Prohibition Act inaugurò l’era del Proibizionismo causando la chiusura di tanti locali e lasciando senza lavoro tanti addetti ai lavori.
Così, il giorno dopo tornò in patria (dove si fece subito notare per l’accento americano acquisito in tanti anni negli Usa) e, dopo un passaggio a Liverpool e Bristol, approdò all’Hotel Savoy di Londra come barman di servizio nell’american bar diretto allora da un altro mito della mixology, Ada Coleman.
E quando quest’ultima andò in pensione, nel 1926, Harry Craddock ne prese il posto come head bartender, aiutato anche dall’accento americano che, per i tanti clienti dell’hotel provenienti dal Nuovo mondo, costituiva una garanzia di qualità in fatto di miscelazione. Come la sua predecessora, continuò a servire un’importante clientela composta da regnanti, politici e star dello spettacolo fra cui Ava Gardner, Charlie Chaplin e Vivien Leigh.
Innovatore e comunicatore
Proprio come per la Coleman, il prestigioso palcoscenico del Savoy diede a Craddock una fama notevole, tanto più che fu abilissimo a promuovere attraverso la stampa se stesso e la sua abilità nel creare nuove ricette. Un giorno inventò lì per lì tre nuovi cocktail per un giornalista e anni dopo affermò di avere creato 240 drink nel corso della sua carriera. Il più celebre dei quali è il White Lady, grazie anche al fatto che – sempre per avere visibilità sui giornali – nel 1927 Craddock murò uno shaker contenente questo cocktail in una parete del bar del Savoy. Mai ritrovato fino a oggi.
Nel 1930, su suggerimento della proprietà del Savoy, diede alle stampe “The Savoy cocktail book“, manuale che raccolse le 2mila ricette dei cocktail che, fino a quel momento, avevano composto la drink list del bar dell’hotel. Molti dei quali, inutile sottolinearlo, erano “farina del suo sacco” (ma non manca fra gli altri l’Hanky Panky, creato quasi dieci anni prima da Ada Coleman).
Un volume che fu fondamentale per la diffusione in Europa della moxology “all’americana” e che è ancor oggi un punto di riferimento per professionisti e appassionati del bere miscelato.
Dal Savoy al Dorchester
Nel 1933, con la fine del Proibizionismo, fu invitato a tornare negli Usa ma lui preferì rimanere a Londra. Dove, nel 1934, fondò insieme a William J. Tarling la United Kingdom Bartenders’ Guild (UKGB), una delle sette associazioni di bartender (fra le quali la nostra Aibes) che nel 1951 avrebbe dato vita a Iba.
Nel 1939 Harry Craddock lasciò il Savoy per diventare il primo head bartender del Dorchester Hotel, dove venne creato un nuovo bar apposta per lui. E dove rimase fino a quando andò in pensione nel 1947, a 74 anni. Ritiratosi nella sua casa a Kensington, morì a 86 anni all’inizio del 1963, ma la sua fama sopravvive nei decenni grazie soprattutto al suo “Savoy cocktail book”, al White Lady e ad altri cocktail di sua creazione (come il Corpse Reviver #2).
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