All’entrata in vigore dell’obbligo di possesso del green pass per fruire di alcuni servizi ci si interroga se tale obbligo riguardi anche i lavoratori.
All’annunciata entrata in vigore dell’obbligo di possesso del green pass per la fruizione di alcuni servizi e attività i datori di lavoro e gli operatori si sono interrogati se tale obbligo, nel silenzio della norma, si potesse estendere anche ai lavoratori impegnati nell’erogazione di tali servizi.
È di evidenza che tale interrogativo in realtà fosse solamente una porzione di un più complesso dilemma: è obbligatorio il vaccino (o il tampone nelle 48 ore precedenti) per prestare attività lavorativa in tutte quelle situazioni in cui non può essere garantito il distanziamento interpersonale e quindi non si possa ridurre sensibilmente il rischio di contagio?
Senza scomodare Alessandro Magno per sciogliere il nodo gordiano e senza la pretesa di risolvere definitivamente la questione (solo un deciso intervento normativo potrebbe mettere fine alla querelle) pare qui opportuno richiamare quantomeno gli ultimi interventi della prassi, con un’accortezza: sono posizioni espresse dai giudici delle prime cure e quindi suscettibili di ulteriore vaglio.
Possiamo qui citare l’ordinanza del 19.05.2021 del Tribunale di Modena che, in scia con il Tribunale di Belluno del marzo 2021, decide che nello svolgimento della propria attività lavorativa il lavoratore è tenuto ad osservare precisi doveri di cura e di sicurezza nei confronti di tutti i soggetti in cui entra in contatto.
Tale indicazione, richiamata puntualmente dal Giudice, è contenuta nell’art. 20, c. 1 D.Lgs. 81/2008 e all’osservanza di tali obblighi sono tenute entrambe le parti del contratto.
Da ciò se ne fa conseguire che la mancata ottemperanza di tale prescrizione potrebbe far legittimamente discendere il non interesse da parte datoriale (e anche da parte del lavoratore) a ricevere la prestazione lavorativa con ciò derivando la possibilità di sospendere dal lavoro e dalla retribuzione il lavoratore stesso.
Dello stesso tenore anche il Tribunale di Verona nell’ordinanza n. 446/2021.
Ancora più recentemente il Tribunale di Roma (ordinanza 18441/2021) si esprime osservando che il prestatore di lavoro è titolare di precisi doveri di sicurezza e, pertanto, deve essere considerato responsabile a livello giuridico dei propri contegni.
Ne può essere presa in considerazione l’opinione secondo la quale si possa escludere il dovere di collaborazione del lavoratore in quanto depotenzierebbe irrimediabilmente le previsioni contenute nell’art. 2087 C.C. che pone l’obbligo di sicurezza in capo al datore di lavoro.
Il giudice romano, richiamando quello veronese, osserva ancora che “un ingiustificato contegno astensivo rende la prestazione (ove tramontata la possibilità di ricollocamento aliunde) inutile, irricevibile da parte del datore di lavoro poiché inidonea al soddisfacimento dell’interesse creditorio alla realizzazione del sinallagma”.
È giusto ricordare che tali posizioni sono applicate alle attività che sono escluse dall’art. 4 D.L. 44/2021 e che, ancorché l’orientamento appaia definito, prima di prendere qualsiasi decisione in ordine alla sospensione del lavoratore sia consigliabile valutare la situazione con il medico competente, con l’RSPP in seno al comitato Covid costituito.
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