HomeFiscoParlare male della concorrenza: no, sì, forse, dipende!

Parlare male della concorrenza: no, sì, forse, dipende!

Ci siamo sempre sentiti dire che non bisogna farlo. E in teoria siamo tutti d’accordo. Ma in pratica le cose non stanno proprio così.

Chiariamoci subito: siamo tutti d’accordo che, da un punto di vista morale e professionale, non è certo elegante parlare male della concorrenza.

Prima o poi però è capitato a tutti di assistere all’inelegante giudizio dato da un fornitore su chi lo aveva preceduto.

E il disagio non era solo dato dall’imbarazzo della situazione, ma anche dal passare per clienti “fregati” o “ignoranti”.

Detto questo, l’argomento richiede un approfondimento di dettaglio, soprattutto se si pensa a una situazione che coinvolge le “persone”, prima che i clienti e fornitori.

Partiamo da una provocazione: quando abbiamo fatto bene a parlar male a “Caio” di “Tizio”? Per esempio, rivolgendoci a un familiare o a un caro amico che stava frequentando una persona poco raccomandabile.

Oppure quando gli abbiamo detto: “Non andare in quel ristorante, non sanno cosa sia la pulizia”.

La differenza è evidente: noi accettiamo di parlare male di qualcuno o di ascoltare chi lo fa, se con il nostro interlocutore c’è un rapporto affettivo o di grande fiducia e soprattutto se la persona non ha suoi personali interessi coinvolti nella situazione trattata.

Invece, nel rapporto di compravendita, chi vende potrebbe avere interesse a sminuire il concorrente agli occhi del cliente.

C’è ancora un pregiudizio di fondo nei confronti dei venditori, una narrazione che li presenta come altrettanti furbetti interessati solo a vendere e che, per riuscirci, utilizzano tutti i mezzi a disposizione, leciti o meno.

È chiaro che con questo presupposto si fa fatica a credere al venditore che sta sminuendo i propri concorrenti.

Proviamo a cambiare i presupposti e l’ottica con cui analizziamo questo argomento.

I venditori veramente professionali e che guardano al loro lavoro con una visione a lungo termine, partono da questo concetto: “Un cliente che compra da me deve continuare a farlo perché ha capito in primis che io sono una persona affidabile, un vero partner professionale, uno che ha davvero come primo interesse che lui sia soddisfatto.

Se sono sincero e chiaro, si fiderà di me e continuerà a comprare da me”. Personalmente, considero un servizio e un dovere informare il cliente che il prodotto che sta acquistando non lo soddisferà pienamente: sia che il prodotto provenga della concorrenza, sia che provenga da me.

Se vi è capitato qualche volta di suggerire al cliente al quale state mostrando 2 vostri prodotti: “per le sue attuali esigenze il prodotto “Pinco” è più che sufficiente e le costa qualcosina di meno che “Pallino””, forse avrete fatturato subito qualcosina di meno, ma avete investito sulla fiducia e sulla lealtà e successivamente fatturerete di più e per più tempo.

Se instaurerete questo rapporto, ora potrete anche parlare dei vostri concorrenti descrivendo i loro punti deboli, mettendo il cliente nella condizione di fare confronti tra loro e voi e di vincerli.

Diventa a questo punto molto importante il linguaggio che utilizzerete: è da evitare assolutamente il racconto di pettegolezzi, mezze voci non confermate (si dice che… sembra che…), usare offese e termini pesanti.

È invece più che raccomandabile il comparare dati certi (i nostri mobili sono in noce, non in lamellare), meglio se numerici (il nostro lavaggio standard dura 45 minuti, il loro dichiarato è 90 minuti).

Si chiama “pubblicità comparativa” ed è consentita in Italia già da circa 20 anni: il cliente deve essere informato, poi sarà lui a scegliere.

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